Mi chiamo Federica Santucci, sono una Psicologa Clinica e Psicoterapeuta Analista Transazionale CTA EATA e Terapeuta EMDR a Forte dei Marmi. In un precedente articolo, ho trattato il tema del superamento del lutto e delle diverse fasi di elaborazione. Questa volta, desidero approfondire le conseguenze potenzialmente negative di ciò che accade quando il lutto non viene elaborato in modo adeguato. Nello specifico, parlerò di cosa si intende per lutto complicato o patologico, dei sintomi che segnalano un blocco significativo del processo di elaborazione, dei fattori di rischio che possono favorire questa condizione, e di come essa possa collegarsi a forme di stress post-traumatico o di depressione.
Credo sia importante affrontare questo argomento con trasparenza e rassicurazione. L’idea non è spaventare chi ha perso una persona cara, ma offrire strumenti di comprensione per riconoscere quando persiste uno stato di sofferenza cronica e invalidante. A volte, il percorso di lutto incontra ostacoli che rendono difficile l’uscita dal dolore acuto. In questi casi, la psicoterapia può rappresentare un sostegno essenziale per permettere alla vita di riprendere gradualmente colore, pur conservando il ricordo prezioso della persona scomparsa.
Cosa si intende per lutto complicato o patologico?
Parlare di lutto complicato o patologico significa riferirsi a una situazione in cui la reazione alla perdita non evolve naturalmente, bloccandosi in una sofferenza intensa che non accenna a diminuire col passare dei mesi. In uno scenario di “lutto normale”, la persona attraversa fasi di shock, tristezza, rabbia, senso di vuoto, ma gradualmente impara a convivere con la mancanza. Nel lutto complicato, invece, tali emozioni non si attenuano, anzi: possono emergere sintomi più acuti come un sentimento di disperazione immutato, un senso di colpa opprimente o la percezione di non avere più alcuno scopo nella vita. Si definisce “complicato” o “patologico” non perché la persona in lutto abbia qualcosa di sbagliato, ma perché il dolore è diventato così intenso e prolungato da interferire in modo significativo con le attività quotidiane.
In termini clinici, il lutto complicato viene talvolta catalogato come “Disturbo da lutto persistente e complicato” (Persistent Complex Bereavement Disorder). Lo si riconosce quando, a distanza di almeno dodici mesi (o sei, in caso di perdita di un figlio), il soggetto manifesta un’angoscia che rimane costante, un rimuginare continuo e incapace di aprirsi a nuove prospettive. Non si parla di tempistiche rigide per definire un lutto “patologico”, ma è un dato di fatto che se la ferita rimane aperta e non cicatrizza, potremmo trovarci in quella fascia di persone per cui il sostegno professionale è consigliabile.
Cos’è il lutto patologico?
Il lutto patologico si caratterizza per un insieme di reazioni emotive e cognitive che superano la soglia del lutto “adattivo”. La persona può provare un dolore così acuto da essere paralizzante, vivere ricorrenti immagini intrusive relative alla perdita, o focalizzarsi esclusivamente sul pensiero del defunto, trascurando gli affetti e gli impegni presenti. Spesso emerge un senso di colpa o di responsabilità irrazionale, come se si fosse potuto fare qualcosa di più per evitare la morte o se si fosse stati inadeguati ai bisogni della persona amata. Tra i sintomi tipici figurano anche l’incapacità di accettare l’evento, la rabbia verso il destino o verso se stessi, l’idea persistente di voler raggiungere il defunto, con un forte rischio di pensieri suicidari.
La differenza rispetto a un lutto “normale” è che quest’ultimo gradualmente lascia spazio a momenti di serenità, a una ripresa delle attività e a una certa ristrutturazione del senso di sé. Nel lutto patologico, il soggetto fatica a compiere questi passaggi e rimane intrappolato in uno stato di rottura con la realtà, come se la vita si fosse arrestata al momento della scomparsa dell’altro.
Quali sono i sintomi del lutto non elaborato?
Un lutto non elaborato può manifestarsi con sintomi emotivi, fisici e relazionali. Sul piano emotivo notiamo una tristezza profonda, ma anche irritabilità o senso di vuoto costante. Si può sviluppare un marcato disinteresse per le attività che prima davano piacere, una difficoltà a provare gioia o a concentrarsi sul lavoro. Qualcuno sperimenta ansia intensa, paure generalizzate legate alla morte o alla perdita, eccessive preoccupazioni per la salute propria o altrui. A livello fisico, è comune incontrare insonnia, spossamento e una tensione muscolare persistente. Sul versante relazionale possono approfondirsi conflitti con familiari o amici, legati al vissuto diverso del dolore, oppure verificarsi un totale ritiro sociale. Il soggetto potrebbe anche negare di avere un problema, evitando di parlarne. Se tutto questo dura per un periodo eccessivamente lungo o condiziona in modo drastico la qualità di vita, è presumibile che il lutto non sia stato elaborato adeguatamente.
Quali sono i fattori di rischio che possono favorire il lutto complicato?
Sulla base di diverse ricerche, esistono fattori che possono aumentare la probabilità di un lutto complicato. Innanzitutto, la natura del legame con il defunto: se si trattava di una relazione estremamente simbiotica, in cui l’altro rappresentava l’unica fonte di sostegno emotivo, la perdita è più devastante. Un ulteriore aspetto è dato dalle circostanze della morte: un decesso improvviso e violento (come un incidente stradale) può lasciare un trauma non elaborato. Anche una rete di supporto sociale fragile, l’isolamento e la presenza di pregresse patologie psichiatriche possono aggravare il rischio di sviluppare un lutto complicato.
Alcune persone hanno uno stile di attaccamento insicuro, che le rende estremamente vulnerabili all’idea di perdere chi amano. Una scarsa autostima o una tendenza alla dipendenza affettiva possono altresì influire negativamente. Talvolta, trovo opportuno integrare l’analisi di questi fattori con la Terapia EMDR, specialmente se la morte ha assunto i contorni di un trauma improvviso, poiché il peso psicologico della perdita si intreccia con la dinamica traumatica del “non ero pronto, non me l’aspettavo”.
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico è equiparabile a un lutto?
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (o PTSD) si manifesta quando si è vissuto o assistito a un evento traumatico che mette a repentaglio la vita o l’integrità fisica. Spesso è caratterizzato da flashback, ipervigilanza, evitamento e sintomi d’ansia molto forti. In alcuni casi, la morte improvvisa di una persona cara può essere vissuta come un trauma così profondo da generare sintomi paragonabili al PTSD. Tuttavia, non ogni lutto si traduce in PTSD e non ogni PTSD è equiparabile a un lutto. Sono due esperienze che possono sovrapporsi, ma che richiedono una distinzione. Se la perdita avviene in circostanze traumatiche (per esempio, assistendo alla morte violenta di un familiare), il soggetto potrebbe sviluppare sintomi post-traumatici. Ciò significa che, oltre al processo di lutto, dovrà rielaborare l’esperienza traumatica in sé. In questi casi, la psicoterapia e l’EMDR possono aiutare a ridurre l’impatto delle immagini intrusive e delle paure collegate all’evento.
Un lutto può portare alla depressione?
Sì, il lutto complicato può sfociare in una forma di depressione clinica, specialmente se la persona è predisposta a stati depressivi o se il contesto di vita, dopo la perdita, si dimostra particolarmente ostico. Quando la morte di qualcuno di caro mina la fiducia nel futuro, l’autostima e i rapporti sociali, si possono innescare sentimenti di disperazione tali da accumularsi fino a una vera e propria depressione. In questi casi, si parla solitamente di un “intreccio” tra lutto e depressione, che va distinto dalla “tristezza fisiologica” tipica del primo periodo di elaborazione. Il discrimine è la persistenza della mancanza di voglia di vivere, del senso di inutilità, e a volte persino di inclinazioni suicidarie che non si attenuano col tempo. Non tutti coloro che attraversano un lutto sviluppano una depressione, ma quando avviene, occorre un intervento mirato che tenga conto di entrambi gli aspetti.
Quando non si riesce a elaborare un lutto?
Non si riesce a elaborare un lutto quando la nostra mente, anziché implementarci in un processo di progressivo adattamento, rimane arenata in una reazione di negazione, di rabbia a oltranza o in un rimpianto che ci paralizza. Spesso subentra la sensazione che “la vita non abbia più senso” o non sia più degna di essere vissuta senza la persona defunta. Si parla allora di un lutto “non elaborato”, dove il soggetto rifiuta di attraversare le fasi di accettazione della perdita o non trova l’energia per farlo. Può esserci alla base un senso di colpa che rende impossibile ricordare la persona con serenità, un trauma legato alle circostanze della morte o una predisposizione a gestire le emozioni in modo disfunzionale.
Da un punto di vista terapeutico, è importante capire che l’elaborazione del lutto non significa “dimenticare” ma accogliere la consapevolezza che la persona cara non è più fisicamente con noi, pur rimanendo parte emotiva della nostra storia. Se tale integrazione non avviene, la ferita resta sanguinante.
Come capire se si è elaborato un lutto?
Riconoscersi in una fase di accettazione significa potersi accorgere che il dolore, pur presente, è divenuto meno acuto e non più totalizzante. Si riesce a parlare della persona scomparsa con un affetto, una tristezza contenuta, ma non con un senso di devastazione totale. Ci si sente liberi di dedicarsi nuovamente a interessi, legami, progetti, senza provare rabbia o angoscia costante. Gli anniversari o le ricorrenze possono dar luogo a tristezza, ma non si viene annientati da essi. Questo non significa che il lutto non faccia più male, ma il dolore diventa un “dolore sano”, che convive con la nostra quotidianità e ci permette di guardare al futuro. In altri termini, capire se si è elaborato un lutto significa valutare se si è tornati a sentire un legame con la gioia e con la vita, seppur con la consapevolezza e la nostalgia inevitabili della perdita subita.
Cosa fare in caso di lutto patologico?
Se riconosciamo i segnali di un lutto complicato o patologico — ossia un dolore estremo che non si attenua con il tempo, un blocco della propria vita, pensieri ricorrenti di colpa o persino suicidari — è fondamentale cercare un aiuto professionale. Il primo passo è rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta esperto di lutto. In alcuni casi può essere efficace l’EMDR, come già accennato, specie se sono presenti circostanze traumatiche intorno alla morte. In altri, si procede con un approccio di tipo cognitivo-comportamentale o analitico-transazionale, mirato a far emergere i vissuti di colpa, rabbia o rimpianto, e a trasformarli in una nuova narrazione di sé, della perdita e della relazione con la persona defunta.
È anche utile accrescere il sostegno sociale, parlare con i familiari e, se possibile, condividere con amici fidati, gruppi di auto-aiuto o comunità spirituali, a seconda della sensibilità individuale. In ogni caso, l’obiettivo non è “dimenticare”, ma dare un nuovo senso alla propria esistenza, in cui la persona scomparsa continui a vivere nell’affetto e nel ricordo, mentre noi gradualmente ritroviamo il gusto del presente.
Arrivati a questo punto, spero di aver delineato con chiarezza cosa si intenda per lutto complicato, quali possano essere le sue manifestazioni e perché alcune persone sperimentano un blocco nel processo di elaborazione. Se vi riconoscete in uno stato di sofferenza che persiste nel tempo, o se pensate di non riuscire a uscire dal tunnel del dolore, voglio rassicurarvi: è possibile ricevere aiuto e lavorare su queste emozioni. Il ricorso a un professionista può fare la differenza tra restare intrappolati in un malessere indefinito e riuscire a onorare chi non c’è più, senza però che la vita venga paralizzata dal lutto.
Vi invito a contattarmi per un colloquio nel mio studio di Forte dei Marmi se sentite il bisogno di un sostegno specifico per un lutto non elaborato. Potremo esplorare insieme le vostre emozioni, i vissuti bloccati e i possibili percorsi terapeutici per restituirvi una prospettiva di serenità e di riscoperta del senso di vivere, pur nel rispetto e nella memoria di chi non c’è più.