Cibo, che ossessione!
A volte le persone si sentono eccessivamente magre o in sovrappeso, cercando di modificare il proprio corpo attraverso diete interminabili o un controllo quasi ossessivo del peso. Basta un’occhiata allo specchio o una sosta davanti alla bilancia per innescare una valanga di giudizi negativi, ansia, frustrazione. Spesso, questi comportamenti possono sfuggire di mano: alcuni si impongono digiuni eccessivi o abbuffate compulsive, altri ancora cercano di liberarsi del senso di colpa attraverso condotte di compensazione come vomito indotto o esercizio fisico estremo.
In queste situazioni, il circolo di pensieri ossessivi e sensi di colpa diventa talmente pressante da generare un disagio fisico e psicologico costante. È come se il cibo si trasformasse in un “avversario” da tenere sotto controllo o un rifugio in cui cercare conforto, mantendoci in uno stato di perenne agitazione e conflitto interiore.
Dietro il sintomo: il senso nascosto
Oltre all’apparenza dei gesti e delle restrizioni alimentari, esiste spesso un significato psicologico radicato nella storia di vita. Potrebbero esserci traumi passati, esperienze familiari o relazionali difficili, sensazioni di inadeguatezza o stress cronico. L’ossessione per il cibo e per il peso diventa così un modo, seppure disfunzionale, per gestire o sfogare emozioni dolorose come la vergogna, la rabbia o l’insicurezza.
Per avviare un cambiamento reale, è fondamentale esplorare con l’aiuto di uno specialista questi aspetti più profondi, così da comprendere quali bisogni o paure possano essersi tradotti in comportamenti alimentari estremi.
I vantaggi dell’EMDR nei disturbi alimentari
Quando l’ossessione per il cibo è radicata in esperienze traumatiche, l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) si rivela uno strumento efficace. Attraverso specifiche stimolazioni bilaterali (come movimenti oculari o suoni alternati), il cervello rielabora i ricordi dolorosi, riducendo il loro impatto emotivo. Nel caso dei disturbi alimentari, l’EMDR aiuta a spezzare la connessione automatica tra emozioni negative e comportamenti disfunzionali legati al cibo.
In pratica, si interviene sui ricordi o le convinzioni negative che sostengono il disturbo (ad esempio la sensazione di non valere, l’ansia da controllo o i vissuti di rabbia) e, durante le sedute, la persona può gradualmente rielaborare gli avvenimenti e recuperare un equilibrio interiore. L’effetto è un progressivo distacco dalle spinte ossessive e un ritrovato senso di stabilità, che favorisce un rapporto più sano con il cibo e con il proprio corpo.
Verso il benessere psicologico
Il punto di partenza è capire quali funzioni abbiano certi comportamenti estremi. Ogni restrizione, ogni abbuffata, ogni controllo ossessivo porta con sé una ragione: proteggersi dal dolore, sentirsi più adeguati, ricercare una sorta di “pace” momentanea. In un percorso terapeutico, è possibile individuare e dare un senso a questi meccanismi, sciogliere i nodi emotivi e risalire al momento in cui hanno preso forma.
Una volta compreso il “perché” dietro le azioni, diventa più semplice sostituirle con strategie funzionali, ristrutturare l’autostima danneggiata, accettare il proprio corpo e ridurre l’angoscia legata al cibo. Il traguardo è riconquistare il benessere mentale, trovando un equilibrio duraturo e libero da ossessioni.