Mi chiamo Federica Santucci, sono una Psicologa Clinica e Psicoterapeuta Analista Transazionale CTA EATA (iscritta all’albo degli Psicologi e degli Psicoterapeuti della Toscana n° 7890) e Terapeuta EMDR. Ricevo nel mio studio situato in via Antonio Gramsci 34, Cinquale (MS), in prossimità di Forte dei Marmi e nel cuore della Versilia. Nel mio lavoro quotidiano, mi trovo sempre più spesso ad affrontare il tema della solitudine, una condizione complessa e paradossale che colpisce adulti, adolescenti e, talvolta, perfino bambini. Attraverso la mia esperienza, ho compreso come la solitudine oggi sia un fenomeno sempre più diffuso, spesso legato all’isolamento sociale e alimentato dalle dinamiche di un mondo digitale che ci vuole connessi ventiquattr’ore su ventiquattro, ma raramente ci fa sentire davvero vicini.
Questo articolo nasce con l’intento di offrire una riflessione approfondita su ciò che significa vivere in solitudine nell’era moderna, di spiegare come distinguere una solitudine scelta da una subita, e di illustrare quando diventa importante chiedere aiuto. Nella mia pratica clinica, presso lo studio di Cinquale, vicino a Massa-Carrara, adotto un approccio integrato “mente-corpo” in collaborazione con lo Studio Fisioterapico Dalle Luche: credo fermamente che lavorare sugli aspetti relazionali e psicologici, come anche sostenere il proprio benessere fisico, sia parte di un’unica strategia per ritrovare un equilibrio. Oltre all’Analisi Transazionale, propongo percorsi di EMDR, un metodo che consente di elaborare traumi e vissuti problematici di vario genere. Spero che questa lettura possa restituire un po’ di speranza a chi vive il peso della solitudine e non sa come uscirne.
Il paradosso della solitudine digitale
Nella nostra epoca, siamo più “connessi” che mai. Telefono, computer, tablet, social network: ogni istante della giornata possiamo scrivere, postare foto, commentare, chattare e leggere notizie che arrivano da ogni parte del globo. Eppure, nel mio studio, incontro persone che si definiscono “terribilmente sole”, capaci di trascorrere giornate intere sui social, ma senza coltivare dialoghi e relazioni autentiche. Questo fenomeno mi ha rincuorato inizialmente a riflettere su quanto la “solitudine digitale” non sia solo un effetto collaterale della tecnologia, ma un vero sintomo di un disagio più profondo, che, in certi casi, sfocia in isolamento sociale.
Quando parlo con pazienti che si sentono soli, mi raccontano spesso una sensazione di essere “invisibili” tra la folla del web, come se il rumore di fondo dell’incessante comunicazione digitale non riuscisse a colmare il bisogno di essere veramente visti, accolti e compresi. Alcuni arrivano a provare invidia per la vita apparentemente perfetta che i loro contatti mostrano sui social, rinchiudendosi progressivamente in un senso di inadeguatezza. È qui che la solitudine psicologo diventa un tema cruciale: riconoscere che dietro una condizione di “solitudine digitale” si nascondono vulnerabilità emotive è il primo passo verso un percorso di cura e di ripresa della propria vita relazionale.
Il paradosso scaturisce dal fatto che mai come adesso abbiamo la possibilità di contattare chiunque in qualunque momento e luogo, e mai come adesso, paradossalmente, ci ritroviamo a sperimentare vuoti interni e difficoltà a costruire legami profondi. Siamo “connessi ma soli”: risuona come un ossimoro, e per molti lo è. Nel mio lavoro di psicoterapeuta solitudine Forte dei Marmi, mi accorgo di quanto, dietro questa nuova forma di isolamento, si celino delle ferite relazionali antiche, che si possono risalire a esperienze infantili o adolescenziali di mancanza di ascolto, tradimenti amicali o familiari, e scarsa autostima. La tecnologia, in tal senso, non sarebbe il male in sé, ma solo il veicolo attraverso cui i nostri disagi relazionali finiscono per manifestarsi più intensamente.
Comprendere la solitudine: una prospettiva psicologica
Quando in seduta mi trovo a discutere del concetto di solitudine, faccio spesso questa distinzione: esiste una “solitudine scelta”, che magari coincide con un momento di ritiro personale in cui si desidera stare con se stessi, e una “solitudine subita”, che invece deriva da un disagio, da difficoltà nel costruire relazioni, da un sentimento di rifiuto o di esclusione. Dal punto di vista psicologico, la solitudine non si esaurisce nel semplice “sentirsi soli”: è un vissuto emotivo che può affondare le sue radici nella storia personale, nelle paure di abbandono, nella mancanza di autostima, o in molte altre ferite interiori.
Nella “solitudine scelta” troviamo l’individuo che decide volontariamente di allontanarsi dal mondo per un periodo, magari per meditare o per ricaricare le energie. Questo tipo di solitudine, se gestita consapevolmente, può persino avere un valore terapeutico e rigenerante. La “solitudine subita”, invece, è segnata dalla sofferenza: la persona vorrebbe connettersi con gli altri, ma sperimenta un ostacolo interno o percepisce di essere rifiutata e non amata. Spesso, quando un paziente mi confida di provare solitudine, scopro che dietro questa emozione si annidano sentimenti di vergogna, di inadeguatezza o di rabbia verso gli altri, percepiti come irraggiungibili.
Un altro aspetto importante da tenere presente è la differenza tra solitudine e isolamento sociale. Possiamo trovarci immersi in una folla (o in decine di chat), e tuttavia sentirci soli. Allo stesso modo, possiamo ritirarci in un luogo tranquillo e non desiderare la compagnia di nessuno, senza per questo sentirci soli. L’isolamento sociale terapia diventa un tema cruciale quando limitiamo i nostri contatti in modo prolungato e iniziamo a trascurare la sfera relazionale al punto di compromettere il nostro benessere globale.
Riconoscere i segnali: quando la solitudine diventa sofferenza
Non è sempre facile capire quando abbiamo superato la soglia della solitudine “fisiologica” o temporanea e siamo entrati in un territorio di disagio profondo. Alcuni segnali d’allarme possono manifestarsi sul piano emotivo, comportamentale e cognitivo. I pazienti che portano in seduta un vissuto di solitudine patologica mi descrivono spesso un senso di “vuoto interiore” che non riescono a colmare: desiderano la compagnia degli altri ma non sanno come stabilire un contatto autentico, oppure sentono un’angoscia che li blocca e li frena dall’uscire di casa o dal cercare nuovi incontri.
A volte compaiono difficoltà nel sonno, una sensazione costante di stanchezza, perdita di interesse per attività prima considerate piacevoli e un’attenzione eccessiva ai giudizi esterni. Sul versante cognitivo, può emergere la convinzione persistente di non meritare relazioni o affetto, o la paura di essere “sbagliati” e poco interessanti. Nei casi più gravi, la solitudine si accompagna ad attacchi di panico, fobia sociale o stati depressivi. Come psicoterapeuta solitudine Forte dei Marmi, considero tutti questi sintomi come campanelli d’allarme: se si protraggono per diverse settimane o mesi, rischiano di debilitare pesantemente la persona e di istituzionalizzare l’isolamento.
È cruciale non sottovalutare questi segnali. Spesso, chi si sente solo a lungo tende a colpevolizzare se stesso, magari pensando “Non sono capace di farmi degli amici” o “Non merito l’attenzione di nessuno”. Sta qui l’importanza di un supporto psicologico specializzato: lo scopo della terapia è, tra l’altro, aiutare a decostruire queste convinzioni negative e a ricostruire la propria identità relazionale.
L’impatto della solitudine cronica sulla vita
La solitudine cronica non è soltanto uno stato d’animo passeggero. Quando si prolunga nel tempo, può avere conseguenze pesanti a vari livelli. Innanzitutto, può compromettere l’autostima, poiché ci si sente indegni di amore e di vicinanza. In secondo luogo, può favorire l’insorgenza di ansia e depressione: la persona isolata potrebbe iniziare a vedere se stessa e il mondo con tinte sempre più cupe e a vivere in un costante stato di allerta o rassegnazione. Sul piano relazionale, la solitudine cronica rende più difficile coltivare nuove amicizie o rapporti amorosi, innescando un circolo vizioso di auto-esclusione. Sul piano fisico, è stato dimostrato che l’isolamento prolungato può indebolire il sistema immunitario, influenzare negativamente la qualità del sonno e aumentare il rischio di sviluppare alcune malattie correlate allo stress.
Un aspetto molto delicato riguarda l’utilizzo eccessivo di strumenti digitali: a volte, chi si sente solo finisce per rifugiarsi sui social, nei videogiochi, nelle piattaforme di streaming, sperando di alleviare il senso di vuoto. Tuttavia, un abuso di queste risorse può trasformarsi in dipendenza, esacerbando la frattura con il mondo reale. Nel mio lavoro di supporto psicologico solitudine Versilia, ho incontrato situazioni in cui la dipendenza dall’online si era trasformata in una vera e propria barriera allo sviluppo di relazioni dal vivo. Quando la solitudine diventa lo sfondo dominante, si inizia a vivere la vita “fuori” con crescente ansia, preferendo restare in un bozzolo virtuale che dà una parvenza di controllo ma, paradossalmente, rischia di acuire il senso di vuoto.
Nel mio dialogo con i pazienti, cerco sempre di separare nettamente la persona che soffre dalla condizione di solitudine che sta attraversando. Sottolineo l’importanza di non identificarsi con quell’etichetta di “solitario” o “solitaria”: ciò che viviamo adesso non è ciò che siamo, ma qualcosa che possiamo modificare, affrontare, trasformare attraverso un lavoro su noi stessi e, talvolta, sul nostro corpo (quando ci sono implicazioni di tensioni muscolari o di posture di chiusura, per esempio).
Genitori e figli: navigare l’isolamento adolescenziale
Un tema che mi sta particolarmente a cuore riguarda la preoccupazione genitoriale quando un figlio, soprattutto in età adolescenziale o nel passaggio verso la giovane età adulta, si isola e preferisce trascorrere il tempo chiuso in camera, evitando la compagnia dei coetanei. Dico spesso ai genitori che bisogna distinguere tra un “normale bisogno di privacy”, fisiologico in un ragazzo che cerca di costruire la propria identità, e un “isolamento problematico”, in cui il giovane perde gradualmente l’interesse per la vita sociale e mostra segnali di tristezza, apatia o rabbia.
A volte, i genitori si sentono impotenti: non sanno come “tirare fuori” il proprio figlio dalla stanza, temono di invadere il suo spazio e al contempo avvertono il dovere di proteggerlo. In questi casi, spiego l’utilità di una consulenza genitoriale o di alcuni colloqui di psicoterapia finalizzati a capire quali siano i disagi dell’adolescente e a fornire un supporto concreto. Il figlio che si isola potrebbe stare affrontando questioni legate all’autostima, a dinamiche di bullismo, a problemi scolastici o a difficoltà relazionali con i compagni. Prima si interviene, maggiori sono le possibilità di ristabilire un contatto sano e autentico con il mondo esterno.
Ci tengo a sottolineare che, nel mio approccio terapeutico, non considero l’isolamento di un adolescente come una “colpa” dei genitori o del ragazzo stesso. Lo guardo, piuttosto, come il segnale di un malessere che va interpretato e accolto. In questa lettura, l’Analisi Transazionale che utilizzo nel mio studio di Cinquale (a due passi da Forte dei Marmi) si rivela fondamentale per comprendere i copioni relazionali ereditati dall’infanzia e per rompere quei circoli viziosi che portano a reiterare schemi di solitudine o rifiuto. Per i traumi più significativi, che spesso si radicano nel vissuto di abbandono, utilizzo anche la terapia EMDR, uno strumento prezioso per rielaborare esperienze dolorose e riattivare risorse interiori.
Il percorso terapeutico: ritrovare la connessione
Quando parlo di terapia per la solitudine, non intendo un protocollo rigido e standardizzato: ogni storia di vita merita di essere accolta con un progetto personalizzato. Anche se alcune tecniche possono essere comuni a più persone, è il ritmo della relazione terapeutica, il percorso di auto-scoperta e lo spazio di accoglienza che rende unica ogni psicoterapia. Nel mio studio di Cinquale, affronto la solitudine e l’isolamento sociale attraverso una combinazione di Analisi Transazionale, EMDR e un approccio integrato mente-corpo, in collaborazione con lo Studio Fisioterapico Dalle Luche.
L’Analisi Transazionale permette di svelare i “copioni di vita” che ciascuno di noi, a livello inconscio, può aver deciso nelle fasi infantili. A volte, dietro la solitudine, c’è la convinzione di non meritare amore o di non essere in grado di relazionarci con gli altri. Attraverso la terapia, diventa possibile prendere consapevolezza di questi messaggi interni e riscriverli, dando luogo a una nuova narrazione di sé. Con l’EMDR, invece, possiamo lavorare sulle esperienze traumatiche o sugli episodi relazionali dolorosi che hanno contribuito a generare la sensazione di esclusione o abbandono.
Questo approccio integrato si rivolge sia a adulti che sentono di non aver buoni strumenti per navigare le relazioni, sia ad adolescenti e famiglie che desiderano superare il guscio dell’isolamento. Fondamentale è la creazione di uno spazio protetto in cui il paziente possa esprimere liberamente le proprie paure, la vergogna di sentirsi diverso, la rabbia verso chi non ha saputo capirlo o la tristezza di un’assenza relazionale protratta nel tempo. L’obiettivo è “ritrovare la connessione”: con se stessi, prima di tutto, e, di conseguenza, con gli altri.
Nel supporto psicologico solitudine Versilia, porto avanti la convinzione che la guarigione non si fermi alla scoperta delle origini del disagio, ma includa l’apprendimento di abilità relazionali. Mi riferisco a competenze come l’ascolto, l’autenticità, la capacità di comunicare bisogni e limiti, la gestione dei conflitti e l’assertività. Spesso, le persone che vivono nella solitudine hanno sviluppato la convinzione irrealistica che gli altri “debbano capire da soli” i loro desideri o non desiderano coinvolgere nessuno per paura di essere rifiutati. Imparare a “buttarsi” in una dinamica di scambio e a tollerare il rischio di non essere perfettamente accolti diventa un passaggio di crescita fondamentale.
Un supporto concreto a Forte dei Marmi
Da psicoterapeuta solitudine Forte dei Marmi, mi confronto ogni giorno con storie di solitudine e so quanto questa condizione possa apparire invalicabile. Tuttavia, desidero trasmettere un messaggio di speranza a tutti coloro che vivono oppure assistono un familiare (ad esempio un figlio) in situazioni di isolamento e disagio. La solitudine può essere affrontata, compresa e trasformata in una nuova opportunità di crescita e di connessione.
Il primo passo è spesso il più difficile: riconoscere di avere bisogno di aiuto, superare il timore del giudizio (proprio e altrui) e contattare un professionista. Se desiderate maggiori informazioni su come funziona la terapia per l’isolamento sociale, su come posso accompagnarvi nel superare la sensazione di non avere qualcuno accanto o se vi preoccupa il comportamento schivo di vostro figlio, vi invito a contattarmi al numero 347 11 41 310. Potete anche visitare il mio sito web per saperne di più sui miei servizi, tra cui la psicoterapia individuale per adulti, la psicoterapia per bambini e adolescenti, la consulenza genitoriale e la psicoterapia di coppia.
Il mio studio di Cinquale, in via Antonio Gramsci 34, è facilmente raggiungibile da chi vive a Forte dei Marmi, in Versilia e in tutta la provincia di Massa-Carrara. Insieme, cercheremo di capire l’origine della solitudine, di rintracciare le risorse interne di cui già disponete e di attivare nuove strategie che vi consentano di aprirvi a relazioni più soddisfacenti.
Se state attraversando un momento di scoraggiamento, ricordate che la solitudine non è una condanna definitiva. È un segnale, un invito a cercare connessione e significato altrove, soprattutto dentro di voi, e poi, naturalmente, anche negli altri. Il mio invito è di non restare fermi nell’isolamento, ma di cogliere questa occasione per intraprendere un cammino terapeutico: sarà un viaggio di scoperta, di elaborazione delle ferite e di riconnessione alla vita sociale e affettiva. Sappiate che non siete soli in questa sfida: rivolgetevi a chi ha gli strumenti per comprendere e per accompagnarvi va incontro a un nuovo equilibrio.